Annunciato come il libro dell’anno, Il giorno dell’Ape di Paul Murray non può non meritare l’attenzione dei lettori. Dopo aver affrontato le oltre 600 pagine pubblicate dallo scrittore irlandese nel 2024 ma giunte in Italia (in pratica) ad inizio 2025, devo questa recensione a quanti mi hanno chiesto se valga la pena cimentarsi nell’impegnativo compito. Al termine di questo mio contributo non mancherà dunque una mia opinione chiara e netta.
Trama
Tutto il romanzo ruota intorno alle vicende della famiglia Barnes, un tempo benestante e rispettata in una piccola cittadina irlandese ma ora in crisi sotto il peso di debiti, ma anche di segreti e tensioni irrisolte. Dickie, il padre, è (all’apparenza) soltanto un venditore d’auto in fallimento ma, nel corso del racconto, scopriremo gradualmente il suo oscuro passato. La moglie Imelda potrebbe essere considerata solo una figura eccentrica, consumata da un desiderio di bellezza e status: eppure anche lei deve fare i conti con una storia personale segnata da un grande dolore. Infine, i figli Cass e PJ cercano vie di fuga da un presente opprimente, La prima lo fa attraverso l’università (ma con incredibili battute di arresto. Il secondo invece vive realmente solo nel mondo virtuale dei videogiochi.
Cosa ne penso del libro di Murray
Senz’altro Il giorno dell’Ape è un ambizioso affresco familiare e sociale che mescola tragedia e riflessioni esistenziali attraverso stili narrativi ben diversi tra loro. Ogni capitolo è scritto secondo la soggettiva di un protagonista, presenta una tipologia di scrittura più o meno elaborata, più o meno asciutta, fino ad arrivare (in un’ampia parte del romanzo) ad un vero e proprio flusso di coscienza senza punteggiatura di joyciana memoria. Dunque siamo al cospetto di una narrazione polifonica, con salti temporali e sperimentazioni degni di nota.
Fulcro essenziale di tutta la storia è l’assoluta incomunicabilità dei quattro componenti della famiglia. Ognuno di essi porta dentro di sé un fardello di paure, dolori, traumi ed ansie. Eppure non c’è mai un vero momento di contatto tra nessuno dei protagonisti e la narrazione continua in un ritmo frenetico verso un finale spiazzante, anche irrisolto, ma soprattutto di una tragicità inaspettata.
Il romanzo affronta molti temi complessi. Prima di tutto, il focus è senz’altro la crisi climatica in qualità di fenomeno reale ma anche simbolico (crisi di legami e di rapporti umani). Non si può non concentrarsi pure sul fallimento economico e il collasso delle certezze borghesi. La mascolinità tossica e la trasmissione intergenerazionale della colpa si accompagna infine anche al senso di colpa cattolico, in una narrazione “fortemente” irlandese che fa i conti con storia e superstizione.
Vale la pena leggere Il libro dell’Ape?
Non siamo al cospetto di una lettura “leggera” e scaccia pensieri. L’intero romanzo è impegnativo per la sua mole e soprattutto per il suo stile. Qualche lettore potrebbe trovare anche irritante la lunga parte scritta in stile “flusso di coscienza” di Joyce senza punteggiatura. Ancora, il ritmo iniziale del racconto potrebbe pure sembrare lento. Eppure, giunti grosso modo a metà del libro di Murray, non se ne potrà più fare a meno e lo svolgersi degli eventi sarà incessante e vorticoso. In pratica, non si potrà che essere intrappolati nella trama familiare fino, come già accennato, un finale che è insieme colpo di scena e assoluto capolavoro dell’autore. Per dirla ancora in altre parole, il romanzo è un’opera corposa e stratificata che richiede di sicuro tanta attenzione, ma che premia il lettore ed è soprattutto per questo motivo che vale la pena leggerlo. Un’ultima osservazione è d’obbligo: in tante recensioni del romanzo, si parla di una vena ironica che attraversa tutto il racconto, pure all’interno dei momenti tragici. A mio avviso, non ce n’è traccia: piuttosto la quasi totalità delle pagine è intrisa di tensione narrativa difficile da stemperare.